Contributi

TECNICA DI TIRO CON IL LONGBOW
Tecnica di tiro con il longbow,
con l'aiuto del Toxophilus,
scritto da Roger Ascham nel 1545

Il testo di Roger Ascham farà da guida a questa comunicazione che cercherò di rendere meno tecnica possibile. Nel book distribuito ai partecipanti al Raduno trovate sia indicazioni che ci provengono dai cronisti del passato, (Enguerrand di Monstrelet e Plutarco) sia studi e lavori più specifici sull'arco (Gad Rausing e, più modestamente, Dario D'Alù e Marco Dubini).

La conferenza sarà ricca di immagini, sia provenienti dal passato, che dei giorni nostri.

Lo scopo è quello di continuare e proseguire, questa volta in modo più massiccio, un dibattito iniziato l'anno scorso qui a San Secondo Parmense. Non ho alcuna intenzione di imporre una tecnica, peraltro difficilmente definibile in termini assoluti, a nessuno; ciascuno continui a tirare come vuole. Propongo però una riflessione nel merito del problema, riflessione supportata (vedi i riferimenti bibliografici indicati sotto) sia da studi specifici sull'argomento, non necessariamente realizzati da arcieri, sia dalla pratica mia e di alcuni di noi.

La pratica mi ha insegnato che scoccare con precisione con archi in legno di potenza superiore alle 50 libbre costringe l'arciere ad usare la tecnica adatta, se non vuole farsi male e se vuole colpire il bersaglio, anche a distanze superiori ai 100 metri. Se alla tecnica corretta si aggiunge l'esercizio (e questo a molti di noi, me compreso, manca per i soliti motivi di tempo) i risultati possono essere eccezionali. Va comunque ricordato ancora una volta che nostro scopo non è quello di vincere gare ma di fare ricostruzione storica (e insieme a questa trasmettere conoscenza e cultura) e quindi le tipologie e le abilità di tiro devono essere finalizzate a questo tipo di attività. I tiri a comando e i tiri a distanza, ma non solo questi tipi di tiro, devono diventare la nostra specialità e non dobbiamo mai smettere di addestrarci ad effettuarli con sicurezza e precisione. Sono tiri altamente spettacolari, che quasi nessun arciere storico sa fare.

La storia, di nuovo, e l'esperienza sul campo ci dicono come fare.

E' possibile, e noi possiamo farlo, trasmettere in questo modo ad un pubblico sempre più numeroso, la conoscenza della figura dell'arciere medievale che sia la storia che l'immaginario collettivo identificano come una delle figure chiave del periodo storico che tanto ci appassiona.

San Secondo Parmense (PR), 18 aprile 2004

PREFAZIONE (Stefano Benini 1999):

Citato da molti, letto da pochi, conosciuto da nessuno di coloro che vivono in realtà geografiche non anglofone, Roger Ascham ha tuttavia lasciato un segno destinato a rimanere nei secoli indelebile: ogni volta che una freccia alata solca i sordi rumori di questa nostra avvelenata civiltà industriale, reca con sé qualcosa di questo lontano e ieratico poema, scritto con penne d'oca grigia quando la neve danzava nei turbini di vento.

Il Toxophilus è un'opera sorprendentemente attuale, non solo sul piano tecnico dell'arte del tiro, ma anche per le analisi e i contenuti filosofici ed umanistici in essa esposti.

Nel suo libro Ascham non spiega come costruirsi archi e frecce poiché, come dice lui stesso, teme di suscitare le ire delle corporazioni di arcai e frecciai che vedrebbero in tal manuale una minaccia al loro mestiere.

Ascham venne alla luce nel 1515, all'epoca in cui l'arco iniziava a sentire seriamente la competizione della polvere da sparo; non tanto riguardo all'efficienza (fino ad allora non vi era questione sul fatto che l'arco fosse più potente come arma rispetto ai primi goffi archibugi), ma per la novità e il prestigio che faceva ottenere il dispiegamento in bella mostra delle nuove e terrificanti produzioni degli armaioli. Ma, fosse come si vuole, l'arco era, nel bene o nel male, nelle prime fasi del suo permanente e inesorabile declino quando Roger venne al mondo.

Toxophilus deriva dal termine greco "Tòxon" (arco) e "philòs" (amante), quindi, "Colui che ama l'arco"; l'opera è scritta in forma di dialogo tra il Toxophilus e il Philologus (letteralmente colui che ama il discorso o la parola), che sarebbe l'interlocutore che serva ad Ascham per sviluppare il tema e che, secondo il costume dell'epoca, rappresenta un amante dell'apprendimento e della cultura, in questo caso la cultura arcieristica.

Nella discussione il "Maestro" spiega all'allievo il suo amore per l'arco. Sia come svago che come pratica militare difensiva, ed espone le sue ragioni per tenere l'arco a tale scopo, invece delle armi da fuoco portatili, recentemente inventate e privilegiate.

Nella seconda parte, che è il vero e proprio manuale e trattato tecnico, l'autore dà istruzioni pratiche sulle tecniche di tiro, il tutto sempre supportato e sostenuto da citazioni erudite.

A TUTTI I GENTILUOMINI E "YEOMEN" D'INGHILTERRA

…ho scritto questo piccolo trattato, nel quale, se non ho potuto soddisfare qualcuno, confido che egli sia almeno benevolo verso questa mia opera, perché io sono (così suppongo) il primo ad aver scritto qualcosa su quest'argomento………ed anche perché, se avessi detto cose imprecise, sarei contento che chiunque potesse correggermi. Oppure, se avessi detto troppo poco, che qualcuno possa aggiungervi del suo.

Il mio intento è per il profitto ed il diletto di ognuno, non vuole ferire o dispiacere ad alcuno, non mirando ad altro scopo che quello che la gioventù possa essere spronata al lavoro, l'onesto passatempo e a virtù e, per quanto è mio potere, sia allontanata dall'oziosità, dal gioco disonesto e dal vizio: perciò solo ho lavorato a questo libro, mostrando quanto adatto sia il tiro ad ogni tipo d'uomo, quale onesto passatempo esso sia per il corpo, la sua pratica non è di svilimento nemmeno per i grandi uomini, e né troppo costosa da sostenere per i poveri, non usandone in modo disonesto per sopraffare i più deboli, ma usando degli spazi aperti alla luce del giorno, come uomini dabbene, in grado di correggere con la loro saggezza le colpe di questo mondo imperfetto.

Alcuni tiratori prendono in mano archi più forti di quel che sono in grado di padroneggiare. Questo fa sì che a volte essi tirino oltre il bersaglio, altre volte troppo di lato e persino feriscano qualcuno che sta a guardare. Altri che non hanno mai imparato a tirare, e né tuttavia conoscono le buone frecce e i buoni archi, si impegnano al loro meglio, ma costoro comunemente tirano spostati da un lato nel terreno, e gli arcieri esperti che li sfidano saranno sia contenti di questo, che sempre pronti ad approfittarne e scommettere con loro. Sarebbe meglio per questi starsene seduti tranquilli piuttosto che tirare.

Vi sono altri, che hanno archi e frecce di qualità assai buona ed una buona conoscenza del tiro, ma sono stati addestrati così malamente da non riuscire a tirare né con eleganza e nemmeno con precisione.

TOXOPHILUS, IL PRIMO LIBRO DELLA SCUOLA DEL TIRO.

….del fatto che nessuno abbia in precedenza scritto alcun libro sul tiro, la colpa non deve essere data all'argomento e se ne valesse o no la pena di scriverne, ma agli uomini che furono negligenti al riguardo; questa fu la causa, così suppongo. Gli uomini che praticarono più assiduamente il tiro e che meglio lo conobbero, non furono degli eruditi; quelli che invece furono eruditi praticarono poco il tiro, ed ignorarono la natura dell'argomento. Perciò ben pochi uomini sarebbero stati capaci di scrivere su quest'argomento.

Il poeta Claudio dice che la natura ci offre un primo esempio del tiro grazie al porcospino, il quale lancia i suoi aculei per colpire chiunque combatta con lui, per cui gli uomini in seguito impararono ad imitarlo, ed in ciò trovarono arco e frecce.

Plinio riferisce questa seconda scoperta a Scitio, figlio di Giove.

Migliori, più nobili e numerosi scrittori fanno risalire il tiro ad un più nobile inventore, come fanno Platone, Callimaco e Galeno: da Apollo. Tuttavia molto tempo prima di quei giorni noi leggiamo espressamente del tiro nella Bibbia, ed anche, se dobbiamo credere a Nicolas de Lyra, che Lamech uccise Caino con una freccia.

Così il tiro, per necessità usato ai tempi di Adamo, per nobiltà riferito ad Apollo, non solo è lodato in tutte le lingue e gli scritti, ma anche tenuto in gran conto, nelle migliori nazioni in tempo di guerra per la difesa delle loro terre e da ogni sorta d'uomo in tempo di pace, sia per l'onestà che è ad esso congiunta, che per il profitto che ne deriva.

….le peculiarità del tempo e le cure per la sopravvivenza di ciascuno, sono i motivi per i quali così pochi tirano, come puoi vedere in questa grande città (Londra n.d.r.) dove, su mille uomini fisicamente abili, a mala pena dieci praticano seriamente il tiro. L'artiglieria, oggigiorno, si suddivide in due tipi di arma: le bombarde e gli archi. Peter Nannius, uomo erudito di Lovanio, rileva alcune scomodità delle bombarde, come il costo altissimo, l'ingombranza che ne ostacola il trasporto e, se queste son grandi, la difficoltà di messa a livello, il pericolo per coloro che vi operano vicino, la facilità con cui chi si trova lontano riesce ad evitarne i proiettili e, se queste son piccole, lo scarso timore che incutono e lo scarso effetto. Ed inoltre tutte le condizioni atmosferiche avverse ed il vento, che ne ostacola non poco la funzionalità. Del tiro con l'arco egli non riesce a provare alcun svantaggio.

I nostri arcieri d'Inghilterra, quando venivano al corpo a corpo, avevano sempre pronta, sia appesa alla schiena che nelle mani del loro compagno d'arme, una mazza ferrata o altra arma simile, per abbattere con quella il nemico.

Gli scozzesi hanno un proverbio che essi son soliti ripetere nei loro discorsi e col quale riconoscono piena lode agli inglesi per il loro tirare: "Ogni arciere inglese porta ventiquattro scozzesi sotto la cintura".

Nota di Stefano Benini: Il proverbio è riferito all'abitudine degli arcieri inglesi di portare il loro "mazzo" - sheaf - di 24 frecce infilato sotto la cintura, ed al fatto che si vantassero - spesso a ragione - che ad ogni freccia corrispondeva la vita di un nemico).

Ascham, quando parla dell'arcieria di guerra la classifica sempre come "artiglieria", ed in effetti il modo in cui gli arcieri venivano impiegati sia per il "fuoco di sbarramento" che di "sfondamento", la pongono in questa categoria militare. Non scordiamo che ai tempi di Ascham erano ben freschi i ricordi delle gesta dei "longbowmen" della Guerra dei Cent'anni, dove i loro successi potevano a tutto diritto costituire l'archetipo e l'apoteosi dell'arco inteso come artiglieria.

….tu vedi che il più forte degli uomini non esegue sempre il più forte dei tiri, la qual cosa prova che il tendere con forza non risiede tanto nella forza dell'uomo, quanto nella pratica del tiro. Un uomo forte ma non abituato al tiro, ha le braccia, il torace, le spalle e le altre parti del corpo con le quali dovrebbe tendere fortemente, l'una che ostacola e ferma l'altra, come accade ad una dozzina di robusti cavalli non avvezzi al carro, che si annullano e si ostacolano l'un l'altro. Un uomo forte, non uso al tiro, ironicamente può tendere e far volare in pezzi molti buoni archi, come dei cavalli selvaggi correndo d'impulso manderanno in pezzi molti robusti carri. E così gli uomini forti, senza la pratica, non posson far nulla nel tiro per nessuno scopo, né in guerra né in pace; ma se accade loro di tirare, scoccano tutt'al più una freccia o due, quando invece un uomo debole ma allenato al tiro, sarà di utilità per ogni tempo e scopo, e scoccherà dieci frecce mentre l'altro ne scocca quattro, e tenderà la corda fino al punto d'ancoraggio ogni volta, tirando col miglior profitto.

Di nuovo, colui che non è avvezzo al tiro, sempre più tenendo l'arco in modo sbilenco e sbatacchiando al sua freccia, non guardando la corda al giusto tempo, mette il suo arco sempre in pericolo di spezzarsi, e allora farebbe meglio a starsene a casa. Inoltre egli tirerà assai poche frecce, e anche quelle in modo completamente sgraziato, alcune tese nemmeno alla metà, alcune troppo alte e altre troppo basse, né egli sarà capace di scoccare al momento giusto e nemmeno di interrompere il tiro quando è necessario, ma dovrà per forza buttar fuori la freccia, e assai spesso con risultati cattivi.

Filologo: Ti concedo, Toxofilo, che l'allenamento al tiro fa sì che un uomo tenda forti archi, per tirare al meglio del profitto e per aver cura della propria attrezzatura, che non è cosa trascurabile in guerra. Credo tuttavia che il tiro che abitualmente si pratica a casa, specialmente ai terrapieni con affissi i bersagli in carta, non sia affatto di giovamento per il tiro di potenza, che è il più utile in guerra. Perciò, suppongo, se gli uomini si abituassero ad andar sui campi, ed imparare ad eseguir tiri forti e potenti, senza curarsi affatto di qualsiasi bersaglio, essi ne avrebbero assai maggior giovamento

Toxofilo: La maggior pratica fa sì che un uomo tiri sia forte che bene, che son le due cose che nel tiro ognuno desidera. Così, organizzar gare, riunire insieme gli arcieri, competere per veder chi tirerà meglio vincendo il torneo, incrementa meravigliosamente la pratica del tiro tra gli uomini.

Perciò nel tiro, come in tutte le altre cose, non vi può esser né quantità e nemmeno qualità se queste tre cose - predisposizione, conoscenza e pratica - non stanno insieme.

TOXOPHILUS, IL SECONDO LIBRO DELLA SCUOLA DEL TIRO.

Fil: quali sono gli strumenti?

Tox: il parabraccio, il guanto da tiro, la corda, l'arco e le frecce.

Fil: cosa è comune a tutti gli uomini?

Tox: le condizioni atmosferiche e il bersaglio, tuttavia il bersaglio è sempre subordinato alle condizioni atmosferiche.

Fil: dove risiede il ben maneggiare gli strumenti?

Tox: completamente all'interno dell'uomo stesso: alcune operazioni sono tipiche degli strumenti, alcune delle condizioni atmosferiche, alcune del bersaglio ed altre stanno dentro l'uomo stesso.

Fil: quali operazioni son tipiche degli strumenti?

Tox: la posizione, l'incocco, la trazione, il mantenimento, il rilascio, dai quali proviene il giusto tirare, il quale non appartiene né al vento e nemmeno alle condizioni atmosferiche, e nemmeno ancora al bersaglio poiché sotto la pioggia e senza alcun bersaglio un uomo potrebbe eseguire un tiro corretto.

Fil: quali operazioni appartengono alle condizioni atmosferiche?

Tox: la conoscenza del vento, a nostro favore, contro di noi, di lato, pienamente laterale, vento laterale di un quarto a favore, vento laterale di un quarto a sfavore e così via.

Fil: quali operazioni appartengono al bersaglio?

Tox: fare attenzione alla propria posizione, tirare con giusta parabola, tendere ogni volta allo stesso modo, sganciare sempre allo stesso modo, considerare la natura della visuale da colpire, sulle alture o negli avvallamenti, nelle aperte pianure e nei posti ventilati, e inoltre concentrarsi sul proprio bersaglio.

Fil: e cosa è solamente all'interno dell'uomo stesso?

Tox: il prestar buona attenzione, ed evitare ogni emotività. Il che spesse volte significa la riuscita o il fallimento di tutto.

Toxofilo: l'imparar qualsiasi cosa, e specialmente l'eseguire manualmente qualcosa, deve essere fatto, se qualcuno vuole eccellervi, nella giovinezza. Colui che vuol raggiungere quest'alta perfezione nel tiro, di cui noi parliamo, deve necessariamente iniziare ad applicarvisi in gioventù, e l'aver trascurato tale cosa in Inghilterra ha fatto sì che vi fossero meno tiratori, e che quelli che son tiratori tirino peggio di come farebbero se fosse stato loro insegnato. Un uomo, usando dapprima archi deboli, ben al di sotto della sua forza, potrà essere reso malleabile e pronto ad assimilare la giusta tecnica di tiro come qualsiasi bambino, e la pratica quotidiana del tiro lo manterrà nel corretto tirare e lo porterà infine anche ad un tiro forte.

Il miglior tirare è sempre il tirare più elegante.

Il giusto tirare deriva da queste cose: la posizione, l'incocco, la trazione, il mantenimento e il rilascio, i quali io passerò in rassegna brevemente.

I difetti degli arcieri superano il numero degli arcieri stessi, e ciò a causa del praticare il tiro senza l'insegnamento. Tutti gli ostacoli che le cattive abitudini hanno radicato negli arcieri, non possono né esser velocemente estirpati e né tuttavia esser da me rapidamente riconosciuti, poiché essi sono innumerevoli.

Posizione

Il primo punto è, quando un uomo si accinge a tirare, l'assumere una posizione dei piedi ed un'impostazione tale da esser sia elegante a vedersi che efficace da usarsi, sistemando la figura e tutte le altre parti del corpo in tal postura e portamento che egli possa sia impegnar tutte le sue forze a suo miglior vantaggio, che eseguire il suo tiro e padroneggiarlo per il piacere e il diletto di chi osserva. Non ci si deve accingere a questo troppo velocemente, poiché ciò sarebbe avventato, né tuttavia attardarsi a ponderarvi troppo. Un piede non deve essere posto troppo lontano dall'altro, per evitare di trovarsi troppo in basso, il che è sconveniente, né tuttavia i piedi devono stare troppo vicini, onde evitare di starsene troppo diritti in piedi, poiché in tal modo un uomo né userà bene la sua forza, né tuttavia rimarrà stabile.

Incocco

L'incoccare bene è il punto più facile di tutto, ed in ciò non vi è scaltrezza, ma solo diligente attenzione nel sistemar la freccia né troppo alta e né troppo bassa, ma diritta e perpendicolare all'arco. Un incocco incostante fa sì che il tiratore perda parte del suo allungo. Ed oltre a questo, se la mano della freccia è in alto e la mano dell'arco in basso, o il contrario, l'arco è in pericolo di rompersi, e la freccia, se è sottile, sobbalzerà, mentre se è grossa zoppicherà faticosamente.

Trazione

Oggigiorno noi tendiamo la corda fino all'orecchio destro. Tendere all'orecchio è grandemente lodato, grazie a ciò si può tirare con maggior forza e a distanze maggiori. Nel tiro al bersaglio, la fretta e il tender rapidamente non è né sicuro né tuttavia elegante. Perciò il tender con calma ed in modo uniforme, vale a dire non oscillando la mano ora in alto e ora in basso, ma sempre allo stesso modo, finché si arriva al bordo o spalla della punta, è la cosa migliore sia per efficacia che per eleganza.

Mantenimento

Il mantenimento della trazione (al punto d'ancoraggio al volto, n.d.t.) non deve esser protratto a lungo, poiché ciò mette l'arco in pericolo ed inoltre rovina il rilascio; esso deve essere breve al punto che possa esser meglio percepito nella mente quando si verifica, piuttosto che visto ad occhio nudo quando si esegue.

Rilascio

Lo sgancio (scocco), deve essere molto simile. Così rapido e secco da esser privo di ogni intralcio; così dolce e gentile da far volar la freccia non come se fosse gettata fuori da una custodia. La via di mezzo tra questi due estremi, che è lo sgancio perfetto, non è così difficile da mettersi in pratica come lo è da descriversi in un insegnamento. Per il rilascio pulito, devi fare attenzione a non strusciare contro qualsiasi cosa che tu abbia indosso. Per la stessa ragione l'Imperatore Leone ordinava a tutti i suoi arcieri in guerra di avere sia le teste tosate che le barbe rasate, nel caso che i capelli potessero coprir la visuale ed i peli delle loro barbe potessero ostacolare il tragitto della corda.

A colui che è in grado di tirare in modo corretto non manca nient'altro che il tirare diritto e il mantener la distanza.

Nota di Stefano Benini. E' mia convinzione che con tirar diritto e tenere la distanza Ascham avesse già allora magistralmente e sinteticamente codificato le due coordinate che, presupponendo una tecnica di tiro corretta e costante, sono gli unici due fattori che determinano il punto dove la freccia avrà il suo impatto: per ottenere il centro è necessario che il tiro sia perfettamente in linea con la mezzeria del bersaglio (tirare diritto), ma è altrettanto necessario che oltre a ciò l'arciere dia il "giusto alzo", ossia calcoli la giusta parabola da dare al tiro in relazione ad ogni distanza, che è la seconda coordinata vettoriale necessaria per ottenere il centro, senza la quale il tiro sarebbe o troppo alto o troppo basso, anche se centrale (tenere la distanza).

Il peggior nemico del tiro è il vento e la stagione, nei quali risiede la principale causa di ostacolo al vero mantener la distanza. La miglior qualità di un buon tiratore è il conoscer la natura dei venti: a favore e contro, ed in tal modo egli potrà tirare al suo bersaglio con maggior precisione. I buoni tiratori, quando non è possibile colpire il bersaglio, si impegneranno a colpirlo il più vicino possibile. Un buon arciere imparerà a conoscer la natura del vento, e con saggezza egli valuterà nella sua mente di quanto egli dovrà alterare il suo tiro, sia nell'alzo che nella centralità di esso.

I saggi arcieri hanno sempre strumenti adatti alla loro forza, ed attendono il clima e la stagione che sian favorevoli alla loro attrezzatura. Perciò se il tempo è troppo brutto ed inadatto al tuo tirare, lascia stare per quel giorno ed attendi che la stagione migliori. Poiché è un folle colui che non va dove la necessità lo conduce.

Del (falso) scopo di mira non posso dir bene ciò che dovrei dire. Poiché in uno strano modo esso elimina ogni occasione di gioco sleale, la qual cosa è tutto ciò che vi è di lodevole in questo; tuttavia, a mio parere, esso ostacola la conoscenza del tiro e rende gli uomini più negligenti, il che è deprecabile.

Nota di Stefano Benini. L'asse ottico, che ad arco teso al punto d'ancoraggio al volto si trova al di sopra della freccia, rende possibile notarne la punta e collimarla con un punto di riferimento al di sotto del bersaglio, noto anche come falso scopo, o falso punto di mira. A riconferma dell'attualità del pensiero di Ascham egli non lo ammette che in casi eccezionali, e lo considera esattamente per ciò che è: una rinuncia alle proprie facoltà di percezione dello spazio e delle forze in gioco che, unite alla pratica, sono le sole in grado di produrre risultati perché frutto del nostro intero essere e non di banali e spesso ingannevoli sovrapposizioni ottiche.

Una volta che la tua freccia è a posto, allora devi impugnar il tuo arco esattamente nel mezzo, altrimenti oltre a perdere il tuo giusto allungo di trazione, metterai l'arco in pericolo di spezzarsi. L'incocco avviene appena dopo, ed è assai della medesima natura.

Nota di Stefano Benini. Ascham non menziona mai, nemmeno una volta, il punto d'incocco. Potrebbe sembrare una lacuna, o una trascuratezza tecnica, ma se vi riflettiamo con attenzione ci dovremmo porre questa domanda: "in riferimento a che cosa avrebbero dovuto segnare il punto dove incoccare la freccia sulla corda dal momento che sull'arco non vi era nessuna impugnatura e nemmeno alcuna traccia del benché minimo appoggio per l'asta della freccia?"

L'asta poggiava direttamente sulla mano, che a sua volta non aveva alcun riferimento sensibile su cui porsi ma solo un piccolo segno sul fianco dell'arco, che era anche il marchio del costruttore (vedi i reperti della nave inglese Mary Rose, ora al Museo di Portsmouth). Una mano serrata in prossimità di un approssimativo centro dell'arco è in effetti un appoggio troppo empirico per segnare un preciso punto d'incocco sulla corda.

Quindi tendi sempre allo stesso modo, sgancia sempre allo stesso modo, mantenendo la tua mano sempre alla stessa altezza per tenere la giusta parabola.

Il far caso alla punta della freccia prima del rilascio è il miglior ausilio che vi possa essere per mantenere il giusto alzo di tiro; la qualcosa tuttavia è d'intralcio al tirar in modo eccellente, perché un uomo non può tirare in modo perfettamente diritto se non guarda direttamente il bersaglio. Ora, se tu fai caso diligentemente alle condizioni atmosferiche, mantieni la tua posizione in modo corretto, impugni e incocchi nel giusto mezzo, tendi e scocchi in modo uniforme e costante e mantieni la giusta parabola, non sbaglierai mai il tuo tiro in lunghezza.

La principale ragione per la quale gli uomini non riescono a tirare diritto risiede nel fatto che essi guardano l'asta della freccia; e questo errore accade perché ad un uomo non viene insegnato a tirare fin da quand'è giovane. Tener gli occhi sempre sul proprio bersaglio è il solo modo per tirare diritto.

L'eleganza è il solo giudice del miglior modo di guardare al bersaglio. L'occhio è la guida, il sovrano ed il soccorritore di tutte le altre parti. La mano, il piede e le altre membra, non osano far nulla senza l'occhio, come è evidente nella notte e negli oscuri anfratti. L'occhio è il vero linguaggio col quale l'intelligenza e la ragione parlano ad ogni parte del corpo, e l'intelligenza non fa in tempo a ricevere un'informazione dall'occhio, che ogni parte è pronta a seguirlo o addirittura prevenirne il comando.

Il piede, la mano e tutto il resto fanno affidamento sull'occhio. Perciò un arciere può star certo, imparando a guardare al bersaglio fin da giovane, di tirare sempre diritto.

Per imparare a smetterla di guardare all'asta, imparando a guardare al bersaglio, può esser usato questo metodo, che un buon tiratore una volta mi disse di aver praticato. Si esca con l'arco di notte e si tiri a due fonti di luce (torce o candele), ed ecco che in tal modo si sarà obbligati a guardar sempre al bersaglio e mai alla freccia: tale cosa, praticata una volta o due, farà si che uno smetta di guardar la freccia.

Per quanto riguarda il tirar con la giusta parabola (su ogni distanza), son certo che i precetti che ti ho dato non ti inganneranno mai. Così che nulla verrà mai a mancare, sia del colpir sempre il bersaglio, oppure del giungervi molto vicino, salvo che l'errore risieda solamente nell'intimo di te stesso, il che può accadere in due modi. O nell'aver poco ardire o coraggio, oppure nell'esser soggetto tu stesso ad esser troppo guidato dalle passioni. Se la mente d'un uomo gli viene a mancare, il corpo, che è governato dalla mente, non potrà mai fare il suo dovere. Se non fosse per la mancanza di coraggio, gli uomini potrebbero eseguire molti più virtuosismi di quanti ne compiono.

Tutte le passioni, e in special modo la collera, feriscono sia la mente che il corpo. La mente è cieca in tal maniera, e se la mente è cieca non può governare il corpo nel modo giusto.

Il corpo, di sangue e di ossa come si suol dire, viene sviato dal suo giusto corso e ragion della collera. Per cui un uomo diviene privo della sua giusta forza e non può perciò ben tirare.

Riferimenti bibliografici:

  1. Ascham Roger, Toxophilus. La scuola del tiro, Greentime Spa, 1999
  2. Bartlett Clive, Embleton Gerry, English longbowman 1330-1515, Osprey Military, Warrior Series n. 11, 1995
  3. Hansard George Agar, The Book of Archery, Henry G. Bohn, London 1841
  4. Hardy Robert, Longbow, storia civile e militare dei lunghi archi, Palutan Editrice, 1992
  5. Morse Edward S., Ancient and moder methods of arrow-release, Bulletin of the Essex Institute, vol XVI. Oct-Dec. 1885
  6. Rausing Gad, The bow, some notes on its origin and development, Lund 1967, Berlingska Boktryckeriet

di Marco Dubini