Sir John Hawkwood
Ovvero: Giovanni Acuto, condottiere e comandante
della Compagnia Bianca
Nel 1371 sulla scena italiana aveva fatto la sua comparsa una forza nuova, la famosa Compagnia Bianca composta di veterani della guerra dei Cento Anni. I membri della Compagnia Bianca e i loro "rampolli" furono sempre noti in Italia con la denominazione di "inglesi" perché in genere erano uomini che avevano preso parte alle guerre "inglesi" in Francia, ma non erano affatto tutti degli inglesi veri e propri. I metodi praticati dalla Compagnia, che le ottennero subito la superiorità nelle guerre italiane, erano quelli messi a punto dagli inglesi a Crecy e a Poitiers. Molti poi dei capi o ufficiali della Compagnia erano inglesi e tra questi Giovanni Acuto (John Hawkwood) e Andrew Belmont.
La Compagnia trasse la sua denominazione dall'armatura rilucente che indossavano i suoi cavalieri. Questi, infatti, portavano un'armatura liscia quale non era per nulla comune in Italia e avevano un numero sufficiente di paggi per tenerla sempre lustra e forbita. L'unità combattente formata da tre persone -la cosiddetta lancia- di cui si attribuiva alla Compagnia Bianca il merito di averla fatta conoscere in Italia, comprendeva due combattenti e un paggio. La Compagnia Bianca adattò la "lancia" al contesto specifico di combattenti armati che operavano a piedi e questa fu una delle novità rivoluzionarie della tattica da combattimento inglese. L'idea di far scendere i guerrieri da cavallo originariamente era stata divisata come espediente per far loro tenere più saldamente il terreno e per evitare che i cavalli venissero uccisi o feriti durante la battaglia. Poi una formazione di guerrieri appiedati che avanzavano spalla a spalla con le loro lance in resta si palesò una straordinaria forza adatta al contrattacco; e di questo gli italiani ebbero ben presto modo di accorgersi. Per attuare questa tattica ogni lancia della cavalleria pesante doveva essere impegnata da due guerrieri che combattevano insieme e quando giungevano a contatto con il nemico i due potevano anche combattere schiena contro schiena per aiutarsi a vicenda. Frattanto i paggi tenevano i cavalli dietro la linea di combattimento e venivano avanti quando c'era bisogno dei cavalli o per inseguire il nemico sgominato o per ritirarsi alla svelta.

L'altra novità importante che la Compagnia portò in Italia furono gli arcieri con arco lungo. L'arco lungo aveva una potenza offensiva e una precisione maggiori della balestra, ma per usarlo occorreva un fisico robusto e un lungo esercizio. Per queste ragioni l'arte ed il successo degli arcieri inglesi non trovarono facilmente imitatori in Italia e il loro numero divenne sempre più esiguo poiché non giungevano d'oltralpe nuovi praticanti; l'incidenza dell'arco lungo nel modo di guerreggiare italiano fu così breve e temporanea.

Queste innovazioni tattiche portarono un notevole spirito di corpo e una disciplina quale era difficile riscontrare in compagnie mercenarie. Questo non significa che la disciplina fosse perfetta: sappiamo che i pisani ebbero a lagnarsi amaramente del comportamento che la Compagnia aveva tenuto a Pisa, e si racconta che montassero persino dei falsi allarmi per far uscire gli inglesi dalla città. Invece l'esperienza che della Compagnia fecero più tardi i fiorentini fu nel complesso soddisfacente; i funzionari di Firenze riferirono ai loro superiori che i soldati inglesi erano i più morigerati che fosse loro mai capitato di vedere e che pagavano sempre con tutta esattezza le vettovaglie di cui avevano bisogno. Ma soprattutto gli italiani erano colpiti dalla loro disciplina in battaglia e dalla statura e corporatura di tanti di loro. Gli inglesi erano usi cavalcare anche di notte e combattere anche in pieno inverno e, inoltre, diversamente dagli altri mercenari, erano attrezzati per condurre un assedio poiché erano soliti portarsi speciali scale pieghevoli per scalare le mura, e bombarde.

Nel 1364 la Compagnia Bianca, al soldo dei pisani, si accampò sulle colline sopra Firenze, molestando e terrorizzando la città. Tuttavia, anche una compagnia formidabile quale essa era aveva ben poche possibilità di riuscire a prendere una grande città come Firenze e i suoi mercenari si accontentarono di mettere a sacco i sobborghi e di ottenere, per andarsene, un'ingente somma. Subito dopo la Compagnia Bianca si sciolse. Lo Sterz andò ad unirsi a Hannekin Bongarten con cui formò la Compagnia della Stella, che i due portarono a sud per fare scorrerie in territorio senese e nei domini pontifici. Il resto della Compagnia Bianca, comandato da Giovanni Acuto, rimaneva intanto al soldo dei pisani. Acuto doveva diventare in personaggio più in vista nelle guerre italiane del trentennio successivo. Egli era un soldato duro, in vero professionista che, a differenza dei condottieri suoi contemporanei, pareva preoccuparsi non tanto del denaro quanto della propria reputazione militare. Molti dei successi che arrisero ai suoi soldati possono attribuirsi alla migliore preparazione e al migliore armamento di cui erano provvisti, ma non si può mettere in dubbio che nella sua compagnia egli riuscì a creare tale unità e tale spirito di corpo quali non si erano mai visti. Inoltre si acquistò fama di essere leale ed onesto, fama che nasceva in certa misura per contrasto con la condotta dei suoi rivali, perché Acuto non era certo uno specchio di virtù. Sebbene fosse orgoglioso della sua autorità di comandante e si appassionasse alla guerra da vero professionista, non ricusò mai di accettare denaro in cambio della rinuncia a combattere e, al pari di tutti in condottieri del suo tempo, non ebbe gran rispetto per la vita e i beni della popolazione civile.

Verso la metà degli anni Sessanta del Trecento erano disponibili in Italia quattro grandi compagnie: quelle di Acuto, di Sterz, di Bongarten e, infine, la Compagnia di San Giorgio capeggiata da Ambrogio Visconti. La Compagnia della Stella si sciolse e per alcuni anni le compagnie di Acuto e di Ambrogio Visconti furono le più potenti forze militari indipendenti della penisola. Quando operavano unite, infatti, risultavano pressoché irresistibili e volta a volta ne fecero esperienza Genova, Siena e Perugia. Ma quando agivano separatamente diventavano più vulnerabili e così Visconti fu sconfitto da un esercito congiunto di Napoli e del papa e da ultimo finì ucciso, nel 1374, in uno scontro con dei contadini nelle vicinanze di Bergamo. Giovanni Acuto optò per una soluzioni più sicura, anche se meno vantaggiosa sul piano economico: dapprima si pose al servizio di Milano e poi nel 1375 andò a militare per il papa.

Erano quelli gli anni in cui i papi d'Avignone compivano grandi sforzi per recuperare il controllo effettivo degli Stati della Chiesa nei quali aveva per lunghi anni dilagato l'anarchia. Somme immense di denaro erano disponibili nel tesoro pontificio, e per mandare a buon effetto l'impresa le compagnie erano strumenti ottimi. Nel 1375 Giovanni Acuto non solo si vide addossato il compito di ridurre all'obbedienza papale le città e le signorie della Romagna, ma anche quello di far guerra a Firenze, che si era allarmata vedendo crescere la potenza pontificia lungo i confini del suo territorio. E' vero che Acuto si lasciò comprare da Firenze, ma si dimostrò poi più scrupoloso nell'ubbidire ai suoi padroni ecclesiastici lanciando i suoi all'attacco delle popolazioni delle città romagnole. A Cesena i soldati di Acuto furono affiancati da una nuova compagnia di bretoni che i papi avignonesi avevano inviato dalla Francia: il ruolo avuto da costoro nel massacro di Cesena pare che sia stato maggiore di quello degli inglesi. Si racconta che Giovanni Acuto si piegasse agli ordini del cardinale Roberto con somma riluttanza e che riuscisse a salvare alcune donne di Cesena. Ormai erano quindici anni che era in Italia e doveva essere affezionato al paese ed ai suoi abitanti, cosa che non si poteva sicuramente pretendere dai bretoni. Come che sia, a Cesena furono massacrate più di cinquemila persone e le fosse erano piene dei cadaveri di coloro che avevano tentato di fuggire dalla città

Acuto, probabilmente disgustato da quello che gli era toccato fare a Cesena, ben presto abbandonò il servizio del papa e passò la maggior parte degli anni che gli restarono da vivere al soldo di Firenze. Tuttavia, mentre era ancora al soldo del papa, aveva avuto le città di Cotignola e di Bagnocavallo in garanzia degli arretrati che gli erano dovuti; questo fatto è un altro indizio dell'importanza crescente che il condottiere aveva rispetto alla libera compagnia mercenaria. La situazione di Acuto, divenuto feudatario papale (è questo che egli in certo modo divenne con il possesso delle suddette città romagnole), era qualcosa di nuovo per un capo di mercenari straniero. Non solo veniva riconosciuta la posizione di capo mercenario, il condottiere, ma aveva avuto avvio il processo che portava a legarlo allo stato.

L'unico stato che poté opporre una certa resistenza alla valanga viscontea fu quello fiorentino, e di fatto l'ultimo decennio del Trecento fu tutto un seguito di guerre tra Firenze e Milano. Finché fu in vita Giovanni Acuto, che guidava le forze fiorentine, tra i due stati rivali prevalse un certo equilibrio. Tuttavia Acuto, anche se dopo il 1380 fu spesso al servizio di Firenze, militò anche per altri padroni, conseguendo anzi il suo maggiore successo nel 1387 quando guidò i padovani alla vittoria di Castagnaro sui veronesi. Quella battaglia meglio di ogni altra palesò il genio tattico dell'inglese e i vantaggi che assicuravano in Italia i suoi metodi "inglesi". La mossa decisiva fu allora la finta ritirata di Acuto che così riuscì a trascinare i veronesi sul terreno che più gli andava a genio e cioè in una posizione acquitrinosa a sud-est di Verona tutta intersecata da canali irrigui. Dietro uno di tali canali e su un terreno un po' più asciutto egli fece smontare i suoi cavalieri e li fece avanzare a file serrate. Da ogni lato e un po' più avanti del centro del suo esercito celò dei balestrieri, i suoi seicento arcieri inglesi e alcuni cannoni. I veronesi avanzarono fiduciosamente in questa trappola così accuratamente predisposta; si arrestarono un momento quando si trovarono di fronte il canale, ma poi si diedero alla svelta a riempirlo di ramaglia e si precipitarono per attraversarlo. In quel momento gli arcieri di Acuto iniziarono dalle posizioni laterali il loro tiro incrociato, mentre i guerrieri del centro fermarono l'avanzata veronese. Quando la pioggia di dardi cominciò a fare i suoi effetti e tra le file sgomente dei veronesi cominciarono a prodursi delle falle, Acuto impartì l'ordine di avanzare e i suoi cavalieri appiedati si aprirono un inesorabile varco tra i nemici. La rotta dei veronesi fu completa e la maggior parte di loro o rimase uccisa sul campo o venne fatta prigioniera. La fama che Acuto aveva di essere il migliore capitano in Italia risultò pienamente confermata.

Bibliografia:
  1. M. Mallet, Signori e mercenari - La guerra nell'Italia del Rinascimento - Società Editrice Il Mulino - Bologna 1983
  2. G. Temple-Leader, G. Marcotti, Giovanni Acuto, storia di un condottiere, G. Barbera - Firenze 1889

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